mercoledì 8 maggio 2013

Alla fine di un lavoro.



Casualmente, se mai il caso esiste, ma non ho il pallino del fato, mi capita di trovarmi seduta accanto alla mia vita di prima. Su un treno, questa sera, dopo un lavoro complicato, mi ritrovo vicina al mio capo di un tempo. Inevitabile ricordare certi avvenimenti e modi di intendere il lavoro. Mi parla con quel suo accento morbido, la voce sottile,  rileggiamo insieme i fatti che son finiti sui giornali, pensando che forse è stato davvero un miracolo che non ci siamo finiti anche noi, un nome dopo l’altro, a torto sia chiaro, ma l’aria che tirava era va bene chiunque, purché ci sia un colpevole. Le audizioni, dove rendere conto dell’operato dell’istituzione a cui siamo appartenuti insieme, adesso solo io, ascoltate seduti vicino, coi riscaldamenti rotti e la ridarola nervosa. C’era ben poco da ridere. Gli ricordo le corse in macchina con l’altro del gruppo che soffriva le curve e puntualmente rimetteva nei sacchetti fregati in aereo. Non eravamo solo gente che lavorava insieme, vivevamo tutto insieme. Come evitarlo del resto. Se togli quindici ore alle ventiquattro di un giorno, quel che resta è sonno doccia e qualche ciao, scusa, ti richiamo appena posso. Ci diciamo cose che mentre le diciamo aggiungiamo all’unisono “ma che è sta minestra lagnosa? Siamo ben sopra il patetico, ripigliamoci gente”. Ma insieme a questo ammettiamo che quel modo di lavorare è finito. Sono finite le persone, anche i sogni sono finiti, siamo diventati tutti grandi. Incapaci di trasformarci in quello che adesso è vincente, ma incapaci pure di dimenticare che maledizione, ci abbiamo creduto ed era così bello che ci siamo bruciati amori, vacanze, progetti e un bel pezzo di vita per crederci bene.
Alla fine di un lavoro ti ritrovi a dire comunque mi manca quel circo e noi a fare i pagliacci. E lui mi risponde passandomi la valigia: adesso siamo pagliacci di strada. Lo guardo alla vecchia maniera, fissandomi le mani tese: andiamo a scrivere qualche parolaccia  sui muri ? così tanto per fare i pagliacci di strada. Mi dà un bacio sulla guancia, c’è una macchina che lo aspetta, mi dice fallo tu e mettici pure il mio nome. Alla vecchia maniera.
Poi il marciapiede il taxi la stanchezza e domani ci togliamo il naso di plastica e ci mettiamo il rossetto. Pagliacci per bene, non di strada.
 

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