Continui
a fissarmi. Pensi a quale potrebbe essere la mia storia. Vediamo.
Sono
palestinese e non ho abbastanza anni per sapere com’è un giorno normale, senza
sporcizia, senza la paura che entra dalle finestre rotte. E il racconto è più
lungo della tua immaginazione piccola di quattro articoli letti di corsa su un
taxi. Sono ebrea e so camminare senza dare nell’occhio meglio di come so disegnare
una campana col gesso per saltarci dentro. Un due tre stella. E il racconto è più
lungo delle domande che hai fatto, prima di dimenticartene. Sono una sopravvissuta ai barconi, sento l’odore
degli sconosciuti che mi stanno addosso, la paura dei miei genitori mi
terrorizza più dei morti che mi galleggiano intorno. Il mio orrore è più lungo del
tuo fazzoletto, mentre asciughi un pianto che non mi aiuta. Io avrò paura anche
dopo le tue lacrime. Ci hai pensato, prima di cambiare canale? Ho dodici anni e
faccio la puttana da sei. Dov’è il mio bordello non serve dirlo ché comunque io
sono morta da sei anni. Ti vergogni perché non sai cosa dire? Oh la tua indignazione delle cinque del pomeriggio.
Io ho un cliente a quell’ora e poi un altro e un altro. Non ho tempo per
consolarti. Hai dormito bene stanotte? Sì?
Anche i miei clienti.
E altre storie potrei essere. Ma tu continui a fissarmi
perché io per te sono la storia che proprio non sai raccontare. Lascia stare che i capelli sono diversi. Questi
occhi dritti questa bocca fiera sei tu quando avevi la mia età. E adesso sono io che ti guardo. Che vuoi fare di me. Tu sai il mio sguardo sai la mia bocca. Che vuoi fare di me. Sei qui per rivederti. Non tradirmi. C’è ancora tempo. Guardami. Guardati. C’è ancora tempo.
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