lunedì 1 aprile 2013

Gatti Randagi.

Amo le citazioni. Ci sono brani, piccole frasi, addirittura un certo modo di comporre la punteggiatura che mi hanno indicato percorsi, dato spiegazioni. Hanno giustificato dolori, anche solo perchè qualcuno è stato così bravo da infilarli in un rigo, inchiodandoli alla pagina, invece che farne ciondoli tristi che ti spezzano il collo, ti costringono a guardare a terra. Cemento tu, cemento loro. Deserti inutili. Sono una collezionista di queste barchette dove ho viaggiato senza pagare. Godendo di legni levigati che io non potrò avere mai, talento molto più che marginale il mio, ma vista acutissima, perennemente affamata. "C'è sempre qualcosa di ignoto che mi tormenta". La mia preferita, io sono questo. E risalendo da qui è così che mi sono sempre sentita: una citazione, di cui però non so trovare la pagina, chi l'ha scritta. Così pesco parole a secchi, ne uso a centinaia, le setaccio, le svuoto e le riempio. Le metto insieme in ordini disordinati, magari solo per sentire suoni diversi. Anche gesso sulla lavagna. Bello, va bene con certe emozioni appuntite. E tutto questo rovistare e usare è poi la voglia di trovare dov'è che sto bene senza sforzo, dove ho un senso che ha senso in una storia più ampia. Non riportata in una nota a margine, che ti chiedi ma prima che c'è e dopo com'è, manca qualcosa e non è marginale. Mi piacerebbe. Potrei dirmi, e dire,  è qui che sono scritta, c'è anche la copertina vedi, qui sono nel testo. Colmare questo buco che mi agita sempre. Mi agita sempre.

A margine - Sei sempre spettinata. E ti tiri i capelli in certi chignon bassi e severi  che almeno allo specchio ti vedi dritta. Che poi. Si sa. Lo specchio rovescia le immagini.

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